L'Europa Pagherebbe il Prezzo di una Guerra Contro l'Iran
Le guerre in Medio Oriente dimostrano quanto l’Ue sia impotente
Un’altra guerra in Medio Oriente è scoppiata.
Venerdì 13 giugno, il mondo si è svegliato con lai notizia che Israele aveva lanciato una raffica di missili contro l’Iran, con l’obiettivo di distruggere una volta per tutte il programma nucleare del regime islamico. Sebbene non fosse la prima volta che Israele colpiva l’Iran, ciò che rendeva questo giorno più spaventoso del solito era che l’attacco fosse di portata ben più ampia e che avvenisse nel contesto delle recenti offensive contro Gaza e il Libano. Sembrava che il primo ministro israeliano, Bibi Netanyahu, avesse deciso di dichiarare una guerra totale contro l’Iran con l’intento di trascinare gli Stati Uniti in un’altra operazione di cambio di regime in Medio Oriente. Per questo scoppiò il panico e molti osservavano la situazione con orrore, temendo una nuova catastrofe all’orizzonte. Chi si sarebbe occupato di rimettere insieme i pezzi di un Paese grande, popoloso e potente come l’Iran, dopo che fosse diventato un altro Stato fallito?
Sebbene il presidente Trump inizialmente sembrasse interessato a entrare in guerra per spodestare l’Ayatollah, trasformandosi da isolazionista convinto in falco da guerra da un giorno all’altro, il suo umore sull’intera operazione è cambiato rapidamente un’altra volta. Infatti, pochi giorni dopo l’attacco Usa congiunto con Israele, Trump ha annunciato di essere riuscito a far sì che Israele e Iran accettassero un cessate il fuoco. Tuttavia, la cessazione delle ostilità è durata solo poche ore. I due provocatori non hanno resistito alla tentazione di lanciare qualche ultimo razzo prima di rientrare nei ranghi. Per la prima volta, Trump ha criticato Israele per aver “scaricato” altre bombe. Una tregua fragile regge per ora, ma solo un ottimista cieco potrebbe aspettarsi che duri. Dopotutto, questo è il Medio Oriente: una regione che è diventata una macelleria dove la guerra tribale è la modalità predefinita. Netanyahu ha dimostrato di non volersi porre limiti, e la posizione di Trump cambia con il vento. Questa guerra non è affatto finita, ed è per questo che noi in Europa dovremmo essere preoccupati.
Ormai sono diventato insensibile alla notizia di una nuova ondata di violenza in questa regione. La maggior parte della mia vita è stata segnata da una guerra in Medio Oriente in cui avremmo dovuto intervenire per motivi che si rivelano sempre falsi e controproducenti. Tuttavia, spero nella stabilità, anche perché so che sarà l’Europa a pagare il prezzo del caos che ne seguirà. Come nel 2015, saremo noi a dover gestire una fuga di rifugiati e migranti culturalmente incompatibili che si riverseranno ai nostri confini, mentre i politici a Washington torneranno a giocare a golf, al sicuro grazie all’immensità dell’oceano Atlantico. Ma anche per gli Stati Uniti, oggi ci sarà un prezzo da pagare.
Israele minaccia di distruggere le capacità nucleari dell’Iran da più di un decennio. Mentre l’Iran sostiene che il suo programma nucleare abbia scopi pacifici e legati all’energia, Netanyahu è convinto che il vero obiettivo sia costruire una bomba nucleare. Ha ripetutamente affermato che non permetterà che ciò accada, e sembra che ora senta che sia arrivato il momento giusto per colpire al cuore. Dopo aver decapitato Hezbollah in Libano e assistito alla caduta del regime di Assad in Siria (due proxy chiave dell’Iran) il Primo Ministro israeliano sa che il regime islamico è insolitamente vulnerabile e, logicamente, vuole sfruttare il vantaggio finché può. Ma la maggior parte dei cittadini americani non vogliono un’altra guerra con l’Iran. Lo scetticismo verso l’influenza di Israele sulla politica estera americana cresce da tutti i lati dello spettro politico. Un’altro intervento militare statunitense per sostenere Israele creerebbe una forte ribellione.
Il cambio di regime in Iran non sarebbe negativo di per sé. Un Iran prospero, post-Ayatollah, in grado di ragionare con noi e di tornare al suo splendore persiano è una prospettiva attraente. Tuttavia, i cambi di regime in Medio Oriente causati da nostri interventi si sono rivelati sistematicamente disastrosi, specialmente per l’Europa. La nostra vicinanza geografica significa che finiamo inevitabilmente per pagare il prezzo del disastro. Il collasso dello Stato iraniano provocherebbe una nuova crisi di rifugiati e migranti, proprio come le rivoluzioni delle Primavere Arabe ne hanno causate diverse nel 2015: sia attraverso i rifugiati siriani che fuggivano via Turchia, sia attraverso i migranti subsahariani che usavano la Libia, governata da milizie rogue, come paese di transito per raggiungere le coste europee. Gli elementi radicali finanziati durante quelle rivoluzioni hanno trasformato la regione in un focolaio di terrorismo islamico. I cittadini europei stanno ancora soffrendo per la decisione catastrofica di accogliere milioni di persone non identificate provenienti da culture antitetiche alla nostra. Questo errore non può essere ripetuto, o l’Europa come la conosciamo potrebbe non sopravvivere.
L’atto di compassione mal riposto di Angela Merkel si è già rivelato disastroso. Poco più di un decennio fa, si poteva passeggiare per la Germania senza temere di essere investiti da un’auto guidata da un afghano a cui era appena stata respinta la domanda d’asilo. Le donne potevano ancora dare il benvenuto al nuovo anno in Piazza Duomo a Milano senza essere circondate da bande di uomini nordafricani che le aggredivano sessualmente e cantavano sotto le statue storiche europee, una pratica che chiamano “taharrush gamea” (assalto collettivo). All’epoca, Merkel ci disse “wir schaffen das”. Vale a dire: “Ce la faremo”. Ma l’ultimo decennio ha dimostrato il contrario: anziché essere una dimostrazione dei cosiddetti “valori europei”, la willkommenskultur di Merkel sarà ricordata come un atto storico di suicidio della nostra civiltà.
Il problema per l’Europa, però, è che Bruxelles è impotente nell’influenzare gli eventi in Medio Oriente. L’Ue è una potenza economica e regolatoria, non militare. L’arma più potente che ha a disposizione è la sospensione degli accordi commerciali siglati con Paesi terzi e il blocco dell’accesso al mercato unico. Si tratta di un disagio significativo, ma non una vera leva politica. La Russia continua il suo attacco all’Ucraina nonostante sia sottoposta al più severo regime sanzionatorio della storia, perché ha altri grandi partner economici al di fuori dell’Occidente. La coercizione economica è un’arma spuntata rispetto alla potenza militare.
Ora, confrontiamolo con le azioni di Israele. Dopo che il presidente siriano Bashar al-Assad è stato sconfitto lo scorso dicembre, Netanyahu ha ordinato al suo esercito di spostarsi nella Siria sud-occidentale e di occupare una parte del territorio del Paese confinante con le Alture del Golan già occupate, per creare una zona cuscinetto supplementare lungo il confine siriano. Questo dà a Netanyahu più margine di manovra per gestire eventuali disordini che potrebbero scoppiare nella nuova Siria e aumentare le possibilità di impedire che si riversino in Israele. Il vantaggio del potere militare.
Purtroppo per gli europei, gli Stati membri dell’Ue hanno esternalizzato le proprie capacità militari agli Stati Uniti negli ultimi decenni, scegliendo invece di rifugiarsi sotto l’ombrello della Nato. Ciò significa che l’Ue non può creare una zona sicura per i rifugiati all’interno dell’Iran con la forza, nel caso in cui il regime crollasse improvvisamente. Deve invece convincere altri Paesi, come Turchia, Tunisia o Libia, a impedire ai migranti illegali di raggiungere le coste europee, il che espone Bruxelles a potenziali ricatti e difficilmente raggiunge l’obiettivo. I fondi che l’Europa fornisce vanno spesso persi a causa della corruzione governativa o della cattiva gestione delle milizie. Si sospetta che i nostri vicini sarebbero meno inclini a tentare questo genere di ricatti se ci fosse la possibilità che Ursula von der Leyen reagisse con raid aerei.
Ma la mancanza di potere militare dell’Ue non significa solo che non può plasmare il mondo secondo i propri interessi: significa anche che non può opporsi davvero alla politica estera americana, sapendo che Trump potrebbe minacciare di far uscire gli Stati Uniti dalla Nato. Deve limitarsi a supplicare diplomaticamente la Casa Bianca di considerare la posizione europea. Ecco perché saranno gli Stati Uniti e Israele a decidere il destino dell’Iran, mentre l’Europa osserverà sperando per il meglio. Ma anche se l’Ue è condannata a subire decisioni politiche su cui non ha reale voce in capitolo, ciò non significa che sia impotente.
L’Europa potrebbe non avere il vantaggio di agire con forza militare, ma ha ancora un margine di manovra per reagire e prepararsi alle conseguenze delle azioni altrui. Se Netanyahu decidesse di scommettere sulla possibilità di trascinare gli Stati Uniti in guerra contro l’Iran, l’Ue potrebbe isolarsi dall’ondata di rifugiati rafforzando unilateralmente le sue frontiere. L’unico problema è che, per quanto la cosiddetta “estrema destra” populista abbia guadagnato terreno nell’ultimo decennio, il nostro continente è ancora governato da politici in stile Merkel a Bruxelles, il cui istinto è di tenere i confini aperti. È improbabile che queste persone abbiano la forza di volontà per seguire il modello di Viktor Orban e blindare il continente.
Ma abbiamo qualche filo di speranza a cui aggrapparci. L’ondata Merkel ha trasformato permanentemente la politica europea, rendendo i partiti “nativisti”, un tempo confinati ai margini, dei seri contendenti. Sebbene il potere reale sia rimasto sfuggente, l’establishment centrista è stato costretto ad adottare politiche che un decennio fa sembravano impensabili.
Oltre a irrigidire le regole sull’immigrazione, i Socialdemocratici al governo in Danimarca hanno promosso una legge anti-ghetto che pone un tetto al numero di residenti di origine non occidentale che possono abitare in un dato condominio o quartiere, e consente la demolizione di quelli in cui gli occidentali sono in minoranza. Lo scorso anno, la Germania ha di fatto sospeso l’Accordo di Schengen per ridurre la pressione sul proprio sistema d’asilo sovraccarico. Altri, come i Paesi Bassi, hanno cercato di fare lo stesso. La politica francese è diventata così frammentata che il Rassemblement National di Marine Le Pen è diventato il partito più grande in un sistema che sembra destinato al governo di minoranza o ad alleanze incoerenti tra centristi e sinistra. Alla Germania mancano pochi punti percentuali per non riuscire più a formare grandi coalizioni, a causa della crescita dell’AfD.
Nel 2015, Merkel non temeva il suicidio politico. Oggi, i suoi eredi ideologici in tutta l’Ue sì. Ecco perché non dovremmo cedere alla disperazione se il regime iraniano dovesse improvvisamente crollare la prossima settimana, scatenando una nuova ondata migratoria verso l’Europa. I nostri politici di carriera potrebbero finire col sorprenderci, e scegliere l’autoconservazione, anche se in modo opportunistico. Non sottovalutiamo la capacità di una crisi esistenziale per costringere a una presa di posizione netta. Forse l’Ue deve essere spinta al limite prima di decidere di agire nel proprio interesse. “Wir schaffen das”, ma ora gestiremo le cose in modo diverso.
Aleks Eror è un giornalista freelance di origine serba, diviso tra Roma e Belgrado. Ha scritto per Foreign Policy, Politico, The Guardian e altri ancora.
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L’ho letto tutto d’un fiato : interessantissimo !